Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, è stata nominata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, senatrice a vita, «per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale». Il capo dello Stato «mi ha chiamato questa mattina (venerdì 19 gennaio, ndr) comunicandomi la decisione. Lo ringrazio per questo altissimo riconoscimento. La notizia mi ha colto completamente di sorpresa. Non ho mai fatto politica attiva e sono una persona comune, una nonna con una vita ancora piena di interessi e di impegni», commenta Liliana Segre, nata nel 1930, deportata ad Auschwitz dal Binario 21 di Milano quando aveva appena 13 anni, da quasi trenta testimone dell’orrore. «Certamente, il presidente ha voluto onorare, attraverso la mia persona — prosegue — la memoria di tanti altri in questo anno, 2018, in cui ricorre l’ottantesimo anniversario delle leggi razziali. Sento dunque su di me l’enorme compito, la grave responsabilità di tentare almeno, pur con tutti i miei limiti, di portare nel Senato della Repubblica delle voci ormai lontane che rischiano di perdersi nell’oblio».
Il messaggio di Liliana Segre
Entra più in dettaglio, la testimone, che a Milano è anche presidente del Comitato per le Pietre d’inciampo, i sanpietrini della memoria che saranno depositati sabato 20 gennaio, proprio alla presenza Liliana Segre. Lei porterà al Senato, spiega, «le voci di quelle migliaia di italiani, appartenenti alla piccola minoranza ebraica, che nel 1938 subirono l’umiliazione di essere degradati dalla patria che amavano; che furono espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla società dei cittadini “di serie A”. Quegli italiani che in seguito furono perseguitati, braccati e infine deportati verso la “soluzione finale”». Soprattutto, continua Segre, che ad Auschwitz perse l’adorato padre e i nonni, «le voci di quelli, meno fortunati di me, che non sono tornati, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono finiti nel vento».
Quindi, fa riferimento all’attualità: «Salvare dall’oblio quelle storie, coltivare la memoria, è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza. E la può usare». Il suo impegno «per tramandare la memoria — assicura —, contrastare il razzismo, costruire un mondo di fratellanza, comprensione e rispetto, in linea con i valori della nostra Costituzione, continuerà ora anche in Parlamento, ma, lo dico sin d’ora, senza trascurare la mia attività con gli studenti. Continuerò finché avrò forza a raccontare ai giovani l’orrore della Shoah, la follia del razzismo, la barbarie della discriminazione e della predicazione dell’odio. L’ho sempre fatto, non dimenticando e non perdonando, ma senza odio e spirito di vendetta. Sono una donna di pace e una donna libera: e la prima libertà è quella dall’odio».
Lo ha raccontato tantissime volte, Liliana Segre, il momento in cui, durante la cosiddetta «marcia della morte», dopo la liberazione di Auschwitz, trovò una pistola a terra con cui avrebbe potuto uccidere uno degli aguzzini nazisti. Ma non lo fece. «Ho scelto la vita», ha ripetuto spesso, con forza, davanti ai suoi studenti.
Le reazioni
Numerose le esternazioni di soddisfazione arrivate da più fronti. Per Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), la nomina «risponde alla profonda esigenza di assicurare che l’istituzione chiamata a legiferare abbia a memoria quanto avvenuto nel passato e sappia in ogni atto associare al formalismo della legge anche l’intrinseca giustizia e rispondenza ai fondamentali principi etici, in un contesto sempre più preoccupante nel quale l’oblio rischia di divenire legge oltre che fenomeno sociale». «La vita di Liliana Segre testimonianza di libertà. Da senatrice ci indicherà il valore della memoria. Una decisione preziosa a 80 anni dalle leggi razziali» commenta su Twitter il premier Paolo Gentiloni. «Uno dei momenti più felici e più alti della legislatura», dice il presidente del Senato Pietro Grasso. E Laura Boldrini, presidente della Camera, parla di una «donna forte e coraggiosa, che ha messo a disposizione delle giovani generazioni la sua esperienza». «Una bellissima notizia. Semplicemente bellissima», twitta il segretario del Pd, Matteo Renzi. Mentre osserva su Facebook il sindaco di Milano Giuseppe Sala: «Un riconoscimento che, attraverso lei, va a onorare il ricordo delle vittime dei nazifascisti. E che ricorda l’impegno della nostra città, nel passato e ai giorni nostri». «Un doveroso tributo alla memoria di chi è passato per l’inferno di Auschwitz in un momento in cui l’Italia e l’Europa sono attraversate da pulsioni particolaristiche e da chiusure», scrive in una nota la Comunità di Sant’Egidio.
La storia
Come lei stessa racconta nel libro per ragazzi, Fino a quando la mia stella brillerà (Piemme), scritto con la giornalista e autrice Daniela Palumbo, Liliana Segre nacque a Milano in una famiglia ebraica ma laica. E visse in prima persona, con la sua famiglia, le terribili tappe della persecuzione e della deportazione. Fu espulsa dalla scuola a causa delle leggi razziali fasciste del 1938; fu arrestata mentre cercava di fuggire in Svizzera e fu deportata il 30 gennaio 1944 ad Auschwitz. Lì su quella banchina della morte, figlia unica amatissima, venne subito separata dal padre. E mai più lo rivide.
Il ruolo attivo come testimone
Anche grazie all’amore del marito Alfredo Belli Paci, come lei stessa raccontò al «Corriere», negli anni seppe tornare alla vita. E intorno ai sessant’anni decise di diventare una testimone. «Quando lo comunicai ad Alfredo si preoccupò che per me fosse troppo doloroso. Ma mi appoggiò» ricorda Segre. «Da allora - prosegue - ho girato centinaia di scuole e parlato a migliaia di studenti. Ogni volta mio marito mi aspettava a casa e mi chiedeva “Come è andata amore mio?”. E io varcavo la soglia e riuscivo a lasciare tutto fuori. Da quando è morto, invece, ormai diversi anni fa, è molto più difficile rientrare e rimanere da sola con i miei fantasmi». Resta però quello che con Alfredo ha costruito. Spesso Liliana cita le parole del nipote Filippo: «Nonna, tu sei il mare, io sono un’onda . Allora penso che non avrei potuto chiedere di più. E che, nonostante Auschwitz, alla fine ha vinto la vita».